mercoledì 7 aprile 2021

MAGIA TRADIZIONALE E MAGIA MODERNA di Maria Grazia Conte 2021 04 07

MAGIA TRADIZIONALE 
E MAGIA MODERNA 
di Maria Grazia Conte
Dott.ssa in Antropologia 
Policoro 2021 04 07 

 


In Lucania, così come in qualsiasi altro luogo dell’Italia e del mondo, accanto alla magia tradizionale, in cui rientra la pratica della fascinazione, esiste anche un tipo di magia che si potrebbe definire moderna , in cui la relazione magica si istituisce attraverso la mediazione del denaro e dei mezzi di comunicazione di massa. 

Questo tipo di magia è ben lontana dal fenomeno osservato da De martino, in cui essa e il rito sono prodotti culturali, elementi indispensabili per il buon funzionamento della società stessa. 

La magia moderna sfrutta l’elemento tradizionale attraverso telepromozioni magiche, rapporti con le emittenti televisive, installazioni di linee telefoniche e call-center. 

E’ quindi lontano il tempo in cui essa poteva essere gestita dai singoli, adesso per poter sopravvivere nelle nostre intricate società moderne la magia sviluppa una forma di organizzazione altrettanto moderna, creando delle vere e proprie imprese del magico. 

Esiste una differenza sostanziale tra il mago/a tradizionale e quello moderno, il primo opera all’interno della sua comunità e per il suo funzionamento senza chiedere nulla in cambio. 

Egli ha una vocazione, attraversa un processo di iniziazione, esercita il suo potere solo per la collettività, la sua autorità deriva solo dai parametri culturali in cui è inserito. In questo quadro si collocano le rimedianti che risolvono la fascinazione. 

Invece l’operatore magico-moderno, colui il quale fa della magia una professione e un business, non è vincolato a nessun elemento culturale e la sua autorità magica non è fornita dalla comunità, ma la fabbrica da solo. 

Questi due tipi di magia convivono ma sono profondamente diversi, perché quella tradizionale è prodotta e usata nella comunità stessa, quella moderna è una sorta di business. 

Proprio per questo suo carattere imprenditoriale e per il fatto che non è più al servizio della comunità in cui viene prodotta, la magia moderna sfocia molto spesso nell’illegalità, sfruttando l’angoscia e la dipendenza di chi ne usufruisce. 

Rimanendo nell’ambito lucano si riscontra  questo nuovo modo di fare magia, nel caso accaduto a Ripacandida, in provincia di Potenza, che vede coinvolto un “mago miliardario”. 

Tale notizia compare su “La Repubblica” del 1987 e riguarda un settantacinquenne, Pasquale Gioiosa, trovato in possesso di tre miliardi di lire, guadagnati grazie alla sua professione di guaritore e chiromante. 

Questa notizia coinvolge da vicino il Dottor Thomas Hauschild, etno-antropologo tedesco, dell’università di Colonia, che proprio in quegli anni aveva condotto ricerche in quei territori. 

Egli nell’articolo dice di aver fatto degli studi nella zona del Vulture dove tradizione e modernità convivono ma non senza conflitti. 

Egli afferma di aver parlato con molte persone ma solo pochi fra loro potevano considerarsi dei guaritori nel momento in cui utilizzavano delle formule magico-religiose. 

Durante questi studi non ha mai incontrato Pasquale Gioiosa perché si è rifiutato di farlo e lo studioso afferma che i “veri maghi” hanno sempre parlato con lui delle pratiche da loro utilizzate e dei problemi dei loro clienti, nessuno di loro si arricchiva con questo tipo di professione perché avevano un’etica che impediva loro di approfittare del proprio ruolo. 

I loro rituali terapeutici non erano inventati sul momento ma erano inseriti in una cornice teorica di molti rituali cattolici. 

Quale immagine della moderna società italiana forniscono invece corrispondenze come quelle della “Repubblica”? 

Ancora una volta il luogo comune di un sud eternamente avvolto nelle maglie della superstizione, dimenticando oppure ignorando, dato il loro carattere affrettato, che quasi tutti i clienti del “dottore” Pasquale Gioiosa provenivano dalle città: i ripacandidesi, guardavano le automobili di lusso che sostavano davanti all’abitazione del Gioiosa, ironizzavano spesso sulla credulità dei “signorini di città”. 

La differenza tra queste due tipologie di magia non è poi così netta, perché sia oggi sia in passato, la magia contiene una dose di dissimulazione, però ridurre la magia a un insieme di raggiri e superstizioni significa sottovalutare il fenomeno magico.  

Già a partire da Frazer ne il “Ramo d’oro” si affaccia l’idea che la magia possa essere valutata attraverso i parametri del vero e del falso, secondo un pregiudizio positivista, egli mette a confronto la magia delle comunità selvagge con le conoscenze scientifiche occidentali arrivando a dire che la magia è “tanto un sistema spurio di legge naturale quanto una fallace guida di condotta….sia una falsa scienza che un ‘arte abortiva[1] “. 

Per quanto nel corso del tempo, questo pregiudizio sia stato rigettato, ancora oggi la magia viene vista come falsa scienza e il mago è visto come un cialtrone che sfrutta l’ignoranza e la superstizione della gente. 

Però l’utilizzo di particolari artifici magici è usato sia dalla magia tradizionale sia da quella moderna e non è questo l’elemento che può dirci se un mago agisce in buona fede o no, ma è il contesto sociale odierno che spinge il mago alla criminalità. 

Non si può ridurre la magia ad un semplice inganno perché è un sistema intricato di meccanismi psicologici e sociali. 

Essa non serve per conoscere il mondo come fa la scienza, ma sia quella tradizionale sia quella moderna sono utilizzate per dominare la realtà. 

Ad occuparsi della magia da un punto di vista psicologico è stato Freud in “Totem e tabù” dove  viene messo in evidenza un legame profondo tra la vita psichica dei selvaggi e i nevrotici. 

In entrambi, secondo Freud, nasce una sopravvalutazione dei propri desideri che si oggettivano nel mondo attraverso processi psichici. 

Per Ernesto De martino la magia è la fiducia nell’onnipotenza della volontà nei momenti in cui la presenza nel mondo è messa a rischio, quindi il magico appare come il riscatto dell’impotenza dell’individuo. 

La magia non è un fatto individuale ma collettivo ed è una vera e propria professione sia per quella tradizionale sia per quella contemporanea . 

Nella cultura magica tradizionale essa tende a concentrarsi nelle mani di pochi esperti, diventando una sorta di mestiere in quanto si instaura un rapporto professionale tra il mago e i suoi clienti. 

Il cliente è in preda a una contraddizione tra ciò che desidera e la situazione in cui si trova che minaccia la sua identità, confondendo il confine tra l’Io e il mondo per tanto può solo rimettersi nelle mani del mago. 

Egli riesce a sistemare sul piano simbolico la divergenza tra la volontà del cliente e le condizioni della sua vita. 

Il cliente non deve credere al mago ma obbedire  ad esso, a questo punto la relazione magica diventa una forma di dipendenza dove egli non ha nessun controllo. 

Si può affermare che gli elementi della relazione magica non cambiano nel tempo, ma a cambiare sono solo i contesti sociali in cui essa viene praticata.  

La professione dei maghi siano essi sciamani o maghi odierni è garantita  dalle norme di comunità in cui essi esercitano perché sempre e ovunque l’attività  del mago è guidata da norme culturali. 

Questa fusione completa tra pratica magica e collettività si ha solo in società poco differenziate, perché la magia si mescola in tutti i settori della sfera sociale. 

I maghi moderni quindi sono privati dell’autorità tradizionale e devono costruirsi una reputazione ed anche una clientela e lo fanno attraverso la mediazione del denaro e dei mass media. 

In principio il mago era ricompensato attraverso l’affermazione del suo status sociale per tanto era vincolato al suo gruppo, oggi con il passaggio da un’ economia del dono a quella monetaria, il cliente può andare da qualsiasi mago e pagarlo in denaro. 

Dagli anni settanta in poi con il denaro e i titoli magici possono essere anche acquistati, senza che egli passi attraverso un rito di iniziazione. 

Attraverso i mass media egli costituisce la propria  autorità e clientela a livello globale senza passare attraverso l’autorità e lo status che garantisce la tradizione.



[1] Frazer, Il ramo d’oro (1922), trad. it., Roma, newton and compton 1992, pag. 32.