venerdì 26 febbraio 2021

FASCINAZIONE DESCRIZIONE E STORIA di Maria Grazia Conte

FASCINAZIONE
DESCRIZIONE E STORIA 
di Maria Grazia Conte

Policoro 2021 02 26


La fascinazione, in dialetto denominata fascinatura, affascin’ o attaccatur’, è l’espressione principale della bassa magia cerimoniale lucana e tutte le altre forme di magia sono in connessione con essa. 

La fascinazione è “condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta, (….), si designa anche come forma ostile che circola nell’aria, e che insidia inibendo e costringendo[1]

E’ questa la definizione che ne dà De Martino, in cui si evince tutta la potenza dell’essere agito-da che si manifesta nell’immagine dell’attaccatura. 
I sintomi che individuano questo fenomeno sono la cefalgia, sonnolenza, spossatezza, rilassamento, ipocondria, e sensazione di essere dominati da una forza indomabile. 
Nel momento in cui la fascinazione agisce vi è sempre una vittima e un soggetto fascinatore, che può essere umano o può manifestarsi attraverso un cerimoniale definito. 
Nel momento in cui questa dominazione invade completamente la personalità dell’individuo a quel punto non si parlerà più di fascinazione ma di possessione. 

De martino precisa che la fascinazione “non ha a che fare con forze magiche in senso stretto, ma con fatti, che appartengono alla sfera naturale e profana”, da questo punto di vista essa è legata strettamente al pensiero greco e più precisamente alla tradizione sensistica e materialistica democritea, secondo cui si ha la fascinazione nel momento in cui piccole particelle o emanazioni, cariche di una grande malignità, attaccano la vittima provocando dei cambiamenti sia nel corpo che nell’anima. 

Oltre alla filosofia democritea, in Grecia, si credeva nel potere dello sguardo che poteva influire negativamente o positivamente e quindi nel malocchio che prende il nome di “baskània” o “guardare storto” che illustra perfettamente Plutarco nelle “Questioni conviviali”. 

Anche nel mondo romano l’ideologia della fascinazione è ben presente e si racchiude in episodi come “oculi magni”, “invidi”, obliqui urentes”. 
I Romani non fanno una netta distinzione tra l’invidia , come sentimento e difetto morale, e il malocchio che nell’interpretazione antropologica è un momento di folclore. Essi considerano l’invidia come forza e potenza infernale da cui ci si doveva proteggere con particolari pratiche magiche. 
Ad esempio il gesto di fare le corna oppure portare un piccolo amuleto con quella forma arriva proprio dalla tradizione Greca e Romana, esse avevano tre funzioni: una protettiva verso gli spiriti avversi, propiziatoria di fecondità e benessere, apotropaica perché allontanavano il male. 
Il simbolismo e la metafora di queste pratiche si riscontrano in molte regioni italiane ma soprattutto nel meridione. 
Se fino al periodo Romano il fascino è visto come un elemento naturalmente presente in natura e nella società, con il Medioevo il fascino assume una connotazione demonologica, legato al mondo della magia nera che la chiesa cerca di reprimere molto spesso con la violenza. 
Per tanto in questo clima di caccia alle streghe, in cui tutti per qualsiasi motivo potevano essere accusati di intrattenere rapporti con il demonio, anche la fascinazione perde il suo carattere di condivisione tra la popolazione. 
Soltanto nel periodo rinascimentale abbiamo alcuni scritti come quelli di Bacone, che dal concetto di invidia, di fascino arriva alla concezione della jettatura, essa nasce da un compromesso razionale tra il pensiero illuminista e concezione animistica. 
Bacone nel saggio “De invidia” afferma che la superstizione è in relazione con l’invidia. Non esiste alcuna emozione in grado di fascinare o di ammaliare, a eccezione dell’amore e dell’invidia, (…), si rivelano facilmente attraverso gli occhi, in particolar modo in presenza di oggetti che inducano alla fascinazione. 

E’ dopo il rinascimento che si afferma il concetto di jettatura, in stretta connessione con l’illuminismo napoletano. 
Fascino e jettatura non sono completamente uguali, perché quest’ultima è una qualità negativa innata e incontrollabile di influssi malevoli. 
I soggetti colpiti dallo jettatore sono soprattutto i bambini, le donne in gravidanza cioè le stesse “vittime” che identifica De martino nella fascinazione. 
La jettatura nasce in qualche modo per attribuire qualche carattere di razionalità al fascino. 
De martino individuerà nella figura dello jettatore un individuo che cerca disordine a livello sociale e morale. 
Il modo di pensare alla jettatura è più razionale rispetto al fascino, infatti De martino la vede come una formazione di compromesso. 
La fascinazione quindi si intreccia con l’invidia e la jettatura, non sempre queste tre accezioni si distinguono le une dalle altre, molto spesso si confondono. 
Il fascino nasce dall’invidia individuale che può propagarsi per tutta la comunità e la jettatura è la concezione illuministica del fascino stesso ed è involontaria rispetto alla magia, perché tramite il fascino non è necessario praticare riti magici per nuocere. Quindi quando si parla di fascinazione si parla di tutto questo insieme di credenze, con una leggera differenza, nel momento in cui essa si determina attraverso una persona invidiosa del bene altrui si chiama malocchio o invidia. 
Nella fascinazione invece, si può oscillare tra l’assenza dell’intenzione malevola fino alla fattura a morte fatta intenzionalmente per uccidere. 
Il fascino presente in Lucania è un qualcosa generato dall’invidia più o meno consapevole. 
La differenza si riscontra proprio nella linea sottile e sfumata nella volontà del nuocere. E’ proprio questa linea a marcare un confine tra la fascinazione e la magia propriamente detta, mentre la prima rientra nella sfera della non volontarietà, la seconda in quella della volontarietà. 
Quando De martino compie le sue spedizioni in Lucania oltre a fare un resoconto etnografico, cerca di dare una spiegazione del fenomeno in chiave psicologica ed etnopsichiatrica. 
Essere “affascinati” per un soggetto che si trova in una condizione di fragilità delle presenza comporta delle crisi a livello psicologico o psicosomatico che colpisce il singolo ma si estende all’intera comunità. 

Attraverso le pratiche magiche la crisi della presenza viene scongiurata e ciò consente di stare nella storia “come se non ci stesse”. 

Oltre a De martino che ha fornito le basi dell’interpretazione del fenomeno fascinazione, un altro autore Roberto Ausilio si è impegnato in questo verso e nel suo libro “Fascino che vai per la via “ raccoglie altre ricerche che riguardano questo fenomeno. 
Egli riporta la descrizione della fascinazione da un punto di vista psicoanalitico che si connette con i diversi stadi dello sviluppo dell’individuo. 
Quindi essa potrebbe creare una suggestione, cioè rende l’individuo predisposto ad accogliere, sempre a livello psichico, le disgrazie indebolendo così la propria presenza. Sia che il fenomeno della fascinazione venga visto da una prospettiva antropologica, sia da una psicologica, si arriva alla conclusione che la fascinazione sia oggi e che in passato è un fenomeno che permette agli individui di affrontare eventi negativi che in realtà non sarebbero accettabili per la loro esistenza, riconducendo le cause del negativo su un piano mitico-rituale, solo in questo modo si ha una reintegrazione psicologica dell’individuo. 

Il negativo ad esempio si materializza nella persona dello jettatore o di un oggetto per avere maggior controllo su di esso. 

Attraverso il rituale della fascinazione, la comunità offre dei metodi e metaforici per risolvere la crisi.



[1] De Martino E.,Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1982, pag.8.