sabato 22 marzo 2025

NICOLA BUCCOLO "LE PAROLE RITROVATE DEL PRIMO INCONTRO CON IL MARE" DI PASQUALE DORIA - RACCONTA POLICORO 2025 03 22

NICOLA BUCCOLO 
"LE PAROLE RITROVATE DEL 
PRIMO INCONTRO CON IL MARE" 
DI PASQUALE DORIA 
RACCONTA POLICORO 18a Puntata
POLICORO 2025 03 22


 

RACCONTA POLICORO, 18a Puntata

 

Le parole ritrovate del primo incontro con il mare 

Policoro 2025 03 22

 

Fu uno sguardo lungo, forse il più insistito della sua vita. Un folto gruppo di persone di varie età, curioso e timoroso allo stesso tempo, si radunò alla buon'ora. Il cielo era già libero dall'incertezza tra la notte e il giorno, quando iniziò uno speciale pellegrinaggio in mezzo a strade sterrate e sentieri polverosi. In primavera inoltrata, i campi verdissimi si piegavano al vento profumato di terra. Strada facendo, s'impreziosì di un'insolita arietta frizzante, balsamica e iodata, che lieve sbatteva a tratti direttamente in faccia.

Il racconto di Nicola Buccolo l'ho sentito ripetere più e più volte, direttamente dalla sua viva voce. Le parole potevano cambiare, ma le descrizioni rimandavano allo stesso stato d'animo, quello di uomini e donne che in tutta la vita avevano conosciuto solo distese di zolle scure strappate faticosamente ai lontani rilievi collinari da cui provenivano. Si erano spostati direttamente dalle alture dei muti nodi della Lucania interna, figli di pietre antiche che sapevano e contavano il tempo meglio di qualunque essere vivente. Il mondo per loro finiva lì, concluso nel luogo in cui il lavoro si intrecciava alla fatica e dove la terra restituiva solo ciò che le si chiedeva al prezzo di sudore e sacrifici enormi. Ma quel giorno no, era diverso. Tutto cambiò, iniziò esattamente da quel momento e niente fu uguale a prima, perché quel giorno qualcuno iniziò a parlare di una bellezza unica, quella del mare. Evocazione che aveva l'ardire di una promessa quasi proibita, una ragione in più per osare, esplorare e non farsi intimorire dall'ignoto.

Nicola Buccolo è stato per decenni il corrispondente da Policoro del quotidiano in cui lavoravo, la Gazzetta del Mezzogiorno. Ero molto più giovane di lui e lo rispettavo, mettendo da parte ogni gerarchia. Prevalse gradualmente l'amicizia e l'interesse crescente per il territorio al centro delle sue cronache, avvenne dopo una serie di articoli sulla nascita degli “Stati Uniti dello Jonio”, come usava chiamare i centri affacciati sul mare. Di contro, non gradiva più di tanto l'appellativo di “California del Sud”. Così, un giorno, di passaggio dalla redazione di Matera, tra una chiacchiera e l'altra, volle farmi partecipe di un'esperienza speciale che, indelebile, è rimasta fino a oggi impigliata nella mia memoria.

Impossibile restituire, anche solo vagamente, il soffio vitale di quella narrazione che la prima volta suonò quasi come una dolorosa confessione. Inutile cercare di imitare il ritmo cadenzato dei suoi argomenti, di chi era andato via da un paesino aggrappato all'argilla e che non di rado tornava con le sue suggestioni ritrovate a descrivere una rivelazione sensazionale: la scoperta del mare. La rievocava con termini che sembravano appartenere al mondo delle fiabe.

L'ho invitato più volte a divulgare e a condividere un'esperienza così intensa, anche ad altri amici comuni. L'effetto non è mai stato diverso, coinvolgente e toccante. Senza farsi pregare più di tanto, partivano lente, non prive d'ispirazione e quasi con un filo di voce, dettagliate annotazioni riguardanti un'acqua senza fine. Seguiva la descrizione di un moto incessante, di onde che si rincorrevano una dopo l'altra. Onde, sempre nuove e altre ancora, come una voce ininterrotta, suadente, liquida, a tratti decisa, più brusca, ma che in ogni caso nessuno avrebbe potuto mai fermare.

No, non si poteva contenere in alcun modo quel moto perenne. Ogni cosa accadde di colpo oltre la duna e al di là dei canneti che coprivano la vista. Ora lo sguardo era libero. All’improvviso, la terra come quella che loro conoscevano, smise di esistere. Il sentiero nell'erba era già alle spalle da un pezzo e le zolle, quelle solite, quelle di sempre, iniziarono a cambiare forma, colore e consistenza. Era la duna, terra diventata più chiara e finissima proprio lì dove lo spazio di colpo si curvò e meraviglioso si aprì davanti ai loro occhi un orizzonte sconfinato. Con i piedi nella sabbia erano arrivati al cospetto di qualcosa di immenso e di indicibile: il mare, quella cosa ignota di cui avevano sentito solo parlare, che mai avevano incontrato così da vicino, era lì. Proprio sotto i loro nasi, mentre venivano insistentemente interrogati e sommersi da dubbi, raffiche di domande senza risposte.

Prese il sopravvento un turbinio di sentimenti contrastanti e, quasi per incanto, si fermarono tutti come pietrificati. Lì davanti, non un albero, non una collina, c'era solo quel blu d'infinite tonalità cangianti. Smisurato, pareva inghiottire il cielo, finanche l'azzurro senza nuvole che i loro occhi indovinavano solo per via del sole sospeso sull'acqua luccicante, una distesa impreziosita ovunque da una incalcolabile sequenza di riverberi argentati.

Rimasero tutti in silenzio, incapaci di trovare parole adatte a commentare un’emozione che scoppiava in testa e nel petto, troppo grande. Solo un paio si misero a ridere, d'un riso nervoso, pieno di incertezze, come bambini davanti a una potente magia. Mentre chi aveva il cappello se lo tolse, sentendosi quasi al cospetto di un sacro rituale. Era l'espressione immanente dell'immenso e dell'ignoto che aveva soggiogato quei nuovi abitanti arrivati da ogni parte della Basilicata. Furono chiamati per far rinascere sulle rovine di quella greca una nuova Eraclea, ora la ripopolavano insieme, anche senza essersi mai conosciuti prima. Dividevano il pane quotidiano nel giovane comune di Policoro, allora decisamente in via di espansione ben oltre le vecchie casette dei contadini intorno al castello dei Berlingieri. Erano diventati loro i nuovi protagonisti, benché ancora inconsapevoli, gli eroi civili di una vicenda epica maturata nella grande piana del Metapontino, striscia feconda strappata alle paludi e alla malaria con ostinazione e bonifiche ciclopiche.

«Dove finisce?» chiese quasi scosso da tanta potenza uno dei più anziani. Ma nessuno seppe rispondere. Ancora silenzio, mentre qualcuno provò ad avvicinarsi all’acqua con cautela, come si fa con qualcosa di vivo e imprevedibile. Un altro allungò una mano, lasciò che l’onda gli bagnasse le dita callose e ridacchiò appena. Era fresca, era vera. Un altro ancora ne prese un sorso e schioccò la lingua a causa del sale, aveva gli occhi sbarrati per la sorpresa. La maggior parte rimase ferma, sempre titubante e silente. I pensieri, però, si avvertivano, svolazzavano tutto intorno come e molto più delle parole. Conoscevano poco, sapevano solamente di vaghi accenni circa la natura di quella cosa lì davanti. Ora, realizzavano che avevano perso chissà quante pagine di vita, una cognizione del mondo inconcepibile fino a quello straordinario momento e che, invece, adesso li precipitava nel bel mezzo di un capitolo colorato e incommensurabile, in grado di arricchire violentemente le loro vite, solitamente durissime, private fin dalla nascita di un simile prodigio della natura.

Il sole, intanto, continuava a scherzare con la superficie, accarezzava distese liquide in cui i riflessi si stavano facendo gradualmente dorati nella loro straordinaria danza giocata nell'acqua. Per tutti loro si trattava di una continua rivelazione. Capirono solo allora che la terra era dura, familiare, rassicurante. Il mare, invece, era di più, una nuova promessa di infinito. Qualcosa di presente e possente, eppure impalpabile, non comprimibile in un gesto o un solo pensiero, mentre il vento continuava a portare con sé l’odore salmastro e il rumore delle onde.

Poi, qualcuno gridò: «Guardate!». Il sole iniziò a calare verso la superficie del mare, un tuffo tra le nubi ormai rossastre che nessuno di loro avrebbe potuto neppure fantasticare. Uno spettacolo rappresentato lì davanti, sconfinato, un sogno senza precedenti, un cielo dolcemente ferito dal tramonto si mostrava solo a loro e presto si sentirono, forse come mai era accaduto prima, piccoli, piccolissimi.

Allo stesso tempo, inspiegabilmente, compresero di fare parte di qualcosa di più grande. Quella distesa d'acqua era ormai anche una nuova frontiera. Lo sapevano bene mentre, sempre nel silenzio di chi è capitato in mezzo a un uragano di sensazioni senza precedenti, iniziarono a tornare lentamente verso il paese e le nuove case. Lo fecero giurando mentalmente che quel mare era anche il loro, che lo avrebbero amato e difeso e che di lì, tra terra e mare, dalla loro casa non sarebbero andati via, mai più.

Pasquale Doria




#PasqualeDoria,