sabato 30 gennaio 2021

MAGIA E RITUALITA' IN LUCANIA di Conte Maria Grazia 2021 01 29

MAGIA E RITUALITA' IN LUCANIA  
di Conte Maria Grazia 
Dott.ssa in antropologia
2021 01 29 
1a parte  

 

 

Quali siano le ragioni per cui la magia in Lucania sopravvive nella civiltà moderna sono da ricercarsi all'interno di una struttura arcaica dell'esistenza. Per comprendere l'importanza e la funzione delle pratiche magiche all'interno delle quotidiane manifestazioni della vita e del motivo per cui sopravvivono ancora oggi, non si può non assumere come punto di partenza gli studi condotti da Ernesto De Martino nell'area lucana e in tutto il meridione. 

La magia è più propriamente rito, potenza del gesto e della parola cerimoniale, efficacia permanente di una certa definita materia sensibile. Con queste parole De Martino definisce la magia, concentrando la sua attenzione sulla potenza del rito. 

A suo dire la radice della magia lucana e di tutte le altre forme di magia risiede nel rapporto fra l'uomo e la potenza del negativo che affligge l'individuo per tutto l'arco della sua vita e lo conduce in uno stato di miseria psicologica: “radicale impotenza a emergere come operatore da determinate situazioni esistenziali, e ad oltrepassare tale situazioni con risposte adeguate, dotate di un valore
Questa impotenza costituisce il rischio estremo della persona, in quanto comporta il restringersi e il chiudersi delle prospettive operative che condizionano il mantenersi della coscienza: al limite comporta il naufragio dell'assenza totale e le varie esperienze patologiche dell'essere-agito-da in luogo della esperienza fisiologica dell'azione personale inserita nella società e nella storia 1”. 

La miseria psicologica costituisce un pericolo per la società stessa e quindi sono necessari dei mezzi di protezione, che si configurano nelle pratiche magiche, che servono per una reintegrazione psicologica dell'individuo nel tessuto sociale. 
De Martino ci suggerisce che per sostituire l'esperienza disgregatrice della miseria psicologica è importante che vi sia un risveglio morale, cioè una maggiore confidenza nella potenza dell'azione umana. 
L'individuo si trova quindi in una situazione di instabilità, oppressione, spersonalizzazione e vuoto, per tanto per poter stare al mondo ha bisogno costantemente di affermare la propria presenza. 
Non si può prescindere da questo concetto se si vuol capire il meccanismo delle pratiche magiche e le motivazioni che le rendono cosi importanti nel tessuto sociale. 

Strettamente collegata al concetto di miseria psicologica vi è la presenza : “Esserci nel mondo, cioè mantenersi come presenza individuale nella società e nella storia, significa agire come potenza di decisione e di scelta secondo valori, operando e rioperando sempre di nuovo il mai definitivo distacco dalla immediatezza della mera vitalità naturale, e innalzandosi alla vita culturale, lo smarrirsi di questa presenza, il venir meno della stessa interiore possibilità di esercitarla, costituisce un rischio radicale che rispetto alla presenza impegnata a resistere senza successo all'attentato si configura come esperienza di essere-agito-da 2”. 

La presenza quindi è una sorta di costruzione della sicurezza e di un senso che l'essere umano affida al reale. 
L' incapacità di comprendere il reale e non riuscire più ad attribuirgli un senso genera la crisi. 
Per scongiurare questo evento il soggetto si rifugia nel mondo magico che è pure sempre un prodotto culturale. 
Guardando la questione da questa prospettiva si entra in una dimensione che si potrebbe quasi definire negativa poiché esclude i soggetti umani dal divenire della storia (de-storificazione del negativo).

.1 De Martino E. , Mondo popolare e magia in Lucania, a cura di R. Brienza. Roma-Matera, Basilicata editrice, 1975, pag.147.

 

 La perdita della presenza e la conseguente crisi a livello psichico, culturale e sociale non permette agli individui di essere dei soggetti attivi e capaci di intervenire nella storia per tanto utilizzando la magia un determinato aspetto negativo viene assorbito nella ritualità magica attraverso la tecnica del         << cosi-come>>, ripristinando l'ordine naturale delle cose.
“La ritualità ripete, narrando e mimando, miti esemplari nei quali tutto è già deciso nel senso desiderato 3”. 

L'esperienza della crisi può essere individuale e collettiva e a seconda dell'angoscia che ne deriva i sintomi possono essere diversi da un semplice tremore fino ad esplosioni di violenza e catatonia. 
soggetti che sono vittime di questa crisi non sono in grado di mettere in relazione la propria angoscia e il mondo, pertanto utilizzano il rito magico che mette la crisi in relazione con un tempo e luogo mitico in cui il dramma che gli affligge si è risolto felicemente. 
Ripetendo il rito si riesce a recuperare la soluzione che precedentemente si è verificata nel tempo mitico, ristabilendo le relazioni sul piano simbolico e magico. 
Solo in questo modo si ha il superamento della crisi e l'affermarsi della presenza del soggetto umano nella sua storia e nel suo tempo, in modo tale che possa prendere decisioni orientate secondo valori. 
Si potrebbe erroneamente pensare che questi soggetti vivano in una dimensione magica e irrazionale, ma essendo la stessa magia un prodotto culturale offre gli strumenti necessari per affrontare razionalmente il negativo. 
A favorire le condizioni del perdurare delle pratiche magiche di sicuro sono la povertà, l'incertezza del futuro, le cattive condizioni igieniche e l'analfabetismo. 

La povertà aveva dominato per secoli il territorio lucano, composto prevalentemente da agricoltori e pastori che si nutrivano di erbe, bacche e nel peggiore dei casi erano costretti a fare l'elemosina. 
Erano fortunati quando potevano nutrirsi in unico piatto detto “vacillot”, che dovevano condividere con più persone. 
Nonostante la povertà dovevano continuare a pagare i tributi e molto spesso erano costretti a vendere all'asta i propri averi. 

Le condizioni igieniche erano pessime, gli uomini convivevano con animali delle diverse specie: maiali, galline, ecc.. e costantemente dovevano fare i conti con malattie di ogni genere, soprattutto con la malaria. 

I medici erano pochi e non erano molto stimati dai contadini i quali molto  spesso si rivolgevano ai “masciari”. 

A dar prova di ciò vi sono alcuni scritti degli anni '20 del medico antropologo Pasquarelli, che grazie alla sua professione medica svolta a Marsico Nuovo, Savoia di Lucania e Missanello riusci a raccogliere materiale su credenze e pratiche di medicina popolare che molto spesso si combinavano con pratiche magiche. 

Egli stesso afferma che oltre a lui esercitano “l'arte della guarigione, come qualunque donnicciuola, il prete, il barbiere. Un ammalato, un morto son cose da spettacolo e conversazione.....almeno per tre giorni: sicché il medico è in continua lotta, direi quasi con la malattia, la famiglia dell'infermo, e, proprio, con tutte le persone del luogo. E se qualcuno si guarisce, del medico non si parla, è stato per grazia di qualche santo impietosito da preghiere, e promesse di voti 4”. 

Per fare alcuni esempi di rituali ricordiamo, soprattutto quelli terapeutici, molto spesso accompagnati da unguenti, pozioni e rimedi che non erano altro che il risultato di esperienze millenarie perfezionate nel tempo. 

Ad esempio per fermare le emorragie veniva usata la ragnatela “u papparomm”, composta da saliva e secrezioni del ragno che avevano un potere coagulante ed antiemorragico, oppure per quanto riguarda le partorienti, dopo aver partorito dovevano mangiare la placenta, ricca di ormoni, per favorire il latte.

2  De Martino E. ,Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1982, pag.87. pag. 98. 3 De Martino E. ,Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1982, pag. 98. 4 Perretti E. , Magia e religiosità nella cultura lucana del '900

 

 Con il tempo queste pratica andò in disuso e la placenta veniva gettata nel fiume Agri, recitando alcune parole a noi sconosciute, che invocavano molto latte nel seno materno tanto quanto l'acqua del fiume.  

Molte erano le malattie che affliggevano la popolazione lucana, ma quella più temuta era la malaria che si sviluppava in zone paludose, rimase attiva fino alla bonifica delle paludi. 
Essa comportava una febbre altissima che si manifestava a giorni alterni detta febbre terzana, o ogni due giorni detta febbre quartana. L'individuo affetto da questa malattia, che era chiamata dai contadini “febbre d'aria”, era in uno stato di deperimento, con la cute di colore giallo e ingrossamento della milza. 
Nel momento in cui le cure non producevano nessun effetto o l'infermo era troppo povero per potersele permettere interveniva il “masciaro” con il suo rito, le sue azioni e parole magiche. 

Il rito consisteva nel fare su di un filo tre nodi, due all'estremità ed uno al centro per poi metterlo sul capo del malato. 

Mentre si facevano i nodi si pronunciavano sotto voce queste parole: 

<< T'attacche terzana 
t' attacche quartana 
e freve d'aria>>. 
<< Ti attacca terzana 
ti attacca quartana 
e febbre d'aria>>5.

Durante la malattia il il malato doveva raccogliere l'urina per tre giorni e per tre notti, al terzo giorno doveva recarsi in un posto in cui le spalle erano rivolte al sole nascente e nella mano sinistra il contenitore con l'urina. Gettando le urina verso il sole doveva pronunciare una formula che esortava la febbre ad andare via, perché essendo cristiano doveva lasciar stare le sue carni benedette. 

Anche per guarire la milza si usava un filo con dei nodi abbinati ad una formula magica. 

Tramite questa pratica l'individuo cercava in qualche modo di controllare la malattia che lo affliggeva, reiterando il negativo che essa comporta in una dimensione magico-rituale. 

Altre malattie che venivano “curate” con riti magici erano le malattie della pelle come la “ pitéscina”, era una sorta di allergia della pelle che poteva essere causata anche dagli animali. 

Il “masciaro”, una volta diagnosticata la malattia, cospargeva la ferita con un olio parzialmente bruciato misto a fuliggine del camino o con grasso di animali vergini. 

Massaggiando con l'indice destro la parte malata si pronunciavano queste parole: 

<< Male viente male viente 
male viente maleditte 
fuusce 'ndo mare 
vattinne 'ndo mare 
vattine a nneca 
a sta carne beneditte 
non hai niente a cche fà>>.

5 Molfese G. N. , Generi di civiltà contadina in Basilicata, Galatina, ed. congedo, 1978, pag. 106.


  <<Male vento male vento 
male vento maledetto 
fuggi in mare 
vai ad annegare 
a questa carne benedetta 
non puoi fare alcun male>>6

Queste formule possono variare da paese a paese subendo delle lievi modifiche. 

Anche il tifo, la meningite e l'itterizia venivano curate con delle formule magiche. 

Le prime due patologie hanno in comune il fatto di provocare dei forti mal di testa, per essere curate il “masciaro” utilizzava una cavia animale che veniva vivisezionata, l'animale ancora vivo era posto sulla testa dell'ammalato in modo da attirare il male. 

Per quanto riguarda l'itterizia, affezione che porta ad avere una colorazione gialla della cute e delle mucose, prurito cutaneo ed emorragia della pelle, si credeva si originasse quando si urinava di fronte all'arcobaleno anche quando esso non era totalmente visibile. 

Per poter guarire era necessario che al mattino il malato, senza rivolgere parola a nessuno, doveva andare in giro per il paese e passare sotto tre archi per tre volte pronunciando queste parole: 

<<Arche sante beneditte 
'n ciel e 'n terre tu si scritte 
ij ngi passe e te salute 
ij sane e tu te mute>>. 
<<Arco Santo e Benedetto 
in cielo e in terra tu sei scritto 
io ci passo sotto e ti saluto 
io guarisco e tu ti cambi>>7

Per quanto riguarda le malattie degli occhi, la cura non richiedeva particolari riti ma serviva solo recitare una sorta di preghiera con devozione a Santa Lucia. 

Un altra patologia che in passato veniva curata con la magia terapeutica era la cefalea. 

Essa colpiva il contadino che lavorava nei campi tutto il giorno sotto il primo sole cocente di aprile o maggio, era una specie di insolazione che si aggravava al tramonto. 

I suoi sintomi erano forti mal di testa associati a vertigini che non scomparivano neanche di notte provocando delle allucinazioni. 

L'ammalato per guarire doveva affacciarsi o dalla porta o dalla finestra di casa sua in modo tale da veder nascere il sole e pronunciare queste parole:

6 Molfese G. N. , Generi di civiltà contadina in Basilicata, Galatina, ed. congedo, 1978, pag. 103. 7 Molfese G. N. , Generi di civiltà contadina in Basilicata, Galatina, ed. congedo, 1978, pag. 101.

 

 <<Buon giorno bellu sole 
a lli piede du Signore 
a ddon 'u piette arruve l' affanne 
e da la cape lu delore 
buon giorno bellu sole 
ij so figghiu du Signore>>. 
<<Buon giorno sole bello 
ai piedi del Signore, 
dal petto togli l'affanno 
e dalla testa il dolore, 
io sono figlio del Signore>>8. 

Dopo questa invocazione il malato doveva lavarsi il viso con acqua e sale e gettare l'acqua in un crocevia. 

Tutte queste patologie al giorno d'oggi possono essere curate con dei semplici medicinali, alcune sono state debellate come la malaria altre ancora possono essere curate con l'aiuto di uno specialista. 

Si tratta di rimedi ingenui, primitivi e talvolta poco igienici ma servono in qualche modo a sfuggire a quella realtà dominata dal quel “negativo” che De Martino aveva osservato da vicino. 


Si è già detto che la magia e i suoi rituali di ogni sorta vengono utilizzati nei momenti di crisi, di debolezza e in quei particolari momenti di fragilità sia individuali che collettivi. 
Il male colpisce chiunque ma soprattutto i più deboli e fragili come i bambini, per tanto sono loro i soggetti che maggiormente hanno bisogno di una protezione magica. 
Era usanza di proteggere il bambino attraverso l' “abitino”, un piccolo sacchetto di tela appeso al collo del bambino durante il battesimo. 
Questa sorta di amuleto rappresenta la membrana che avvolge il bambino al momento della nascita, la cosiddetta “camicia”. 
Tale membrana veniva risposta dalle madri in questo sacchettino. 
Di solito l' “abitino” del primo nato era quello più potente ed efficace ed il suo contenuto può variare da una località all'altra, in generale all'interno possiamo trovare: un pezzetto di ferro di cavallo ferrato per la prima volta, tre acini di grano, tre di sale, tre di pepe, tre crocette di paglia, qualche santino; un numero di chicchi di grano, i denti della volpe (specialmente durante la dentizione), pezzettini di ostia, un nastro senza misura, alcuni pizzichi di sale acquistati da tabaccai diversi, spilli in croce appuntati su un pezzo di tela, un pezzo di corda della campana, qualche santino, un pizzico di cenere, tre chicchi di grano, un po' di sale, un po' di crusca, due aghi legati in croce, ecc...9. 
Non è detto che questa protezione magica serva solo all'infante ma può essere usato anche in età adulta in momenti importanti e particolari della propria vita. 
Il momento della prima infanzia era talmente delicato che solo l'utilizzo dell'abitino non bastava a proteggere il neonato, pertanto venivano usati altri rimedi ed espedienti magici.

8 Molfese G. N. , Generi di civiltà contadina in Basilicata, Galatina, ed. congedo, 1978, pag. 97. 9 De Martino E. ,Sud e magia, Milano, Feltrinelli, 1982, pag.39.

 

Nel XXI secolo queste precarie condizioni dell'esistenza che sono un ottimo mezzo di trasmissione delle pratiche magiche non esistono quasi più, allora viene da chiedersi se possiamo parlare ancora di ritualità e se esiste ancora una potenza del gesto, come la intendeva De Martino. 

E' pur vero che il sistema socio-economico culturale che va sotto il nome di capitalismo, è riuscito in qualche modo a farci staccare da una serie di modelli culturali, ma allo stesso tempo crea un'esclusione, un isolamento dell'individuo all'interno della quale il pensiero di De Martino risulta essere per certi versi attuale, poiché ogni cultura e ogni tempo è il susseguirsi di crisi e riprese della crisi, la differenza tra il mondo descritto da De Martino e quello attuale risiede nella metodologia della risoluzione della crisi, se nel passato il rito magico ripristina l'ordine delle cose, oggi c'è il rischio che l'uomo non sia in grado di superare la crisi della presenza, è una crisi che si vive individualmente, senza avere a disposizione un sistema di valori che la risolvano. 

Nella nostra società moderna i riti del passato sono una sopravvivenza che vanno via via scomparendo a cui si affiancano nuovi riti che indicano “pratiche sociali caratterizzate da ripetitività, da un certo grado di formalizzazione, e da finalità o obiettivi non immediatamente comprensibili in termini pragmatici”10

In questa categoria rientrano i riti cosiddetti delle vacanze, dello stadio ecc.... Di sicuro si può affermare che la nostra società ha prodotto nuovi riti, ben distanti da quelli descritti da De Martino, sembra quasi che il rito abbia perso la sua principale funzione, presentando la società moderna come deritualizzata. 

Fabio Dei riporta che dopo la seconda guerra mondiale molti hanno costruito la propria identità rifiutando i rituali tradizionali, distaccandosi dagli obblighi sociali che essi imponevano, egli non concorda pienamente con tutto ciò ma ritiene che la categoria del rito è ancora utile per comprendere la contemporaneità dei riti che rientrano nella sfera del profano anziché del sacro. 

Un interpretazione dei riti profani è data da Turner con la spiegazione del dramma sociale: esso rivela, degli “strati sottocutanei” della struttura sociale facendo riaffiorare elementi oppositivi della società stessa, esso si manifesta attraverso una rottura che può interessare una norma o una regola morale. Questo dramma può avvenire sia nell'ambito della vita quotidiana di un villaggio sia in una società complessa. 

Anche Turner quindi parla di una rottura dell'ordine, di crisi e compensazione. La crisi viene risolta con la performances che sposta il dramma sociale dall'ambito culturale a quello scenico, come una rappresentazione teatrale. Anche se viviamo in un contesto storico-culturale che si fonda sulla ragione, siamo strettamente connessi a reti simboliche sia sacre che profane, che mediano la nostra concezione del mondo e i nostri comportamenti, rendendo quanto mai attuale il pensiero di De Martino secondo cui l'alternativa tra magia e razionalità è uno dei temi fondamentali da cui è nata la civiltà moderna, è una dialettica che permette ancora il perdurare di rituali e gesti. 

Nella società attuale post-moderna occidentale e globalizzata, si assiste ad un ritorno verso i mondi magici e alle categorie magico religiose per comprendere la realtà, si ha infatti una grande diffusione di pratiche, astrologiche, magiche, occultistiche, culti demoniaci, ecc.... 

Questi fenomeni investono tutte le sfere sociali, cambiano solo le modalità attraverso cui si sviluppano, perché sono storicamente e culturalmente determinate. 

Molto spesso questo rifiorire delle pratiche magiche entra a far parte del processo consumistico delle società capitalistiche che avviano un vero e proprio commercio della magia, dell'esoterismo, ecc......ai limiti della legalità.

10 Dei F. , Beethoven e le mondine, Roma, Meltemi editore srl, 2007, pag. 115.

Conte Maria Grazia
Dott.ssa in antropologia   

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