Le ricordo le corse di Sant'Antonio
di cavalli asini e muli
per le accidentate strade di Rotondella,
si era negli anni cinquanta.
Strade strette, con selciato di basamento vario,
gradini, scaloni, ripide discese, ardue salite,
curve davvero pericolose a volte strozzate.
Gli equini fremevano, frangendo paglia e biada,
tutti ricoperti di originali orpelli colorati: cornetti,
campane, campanelli e campanacci,
Partivano, facendosi largo con veemenza,
con code di volpi e criniera sollevate dal vento
dato dalle velocità delle bestie.
Dominavano i cavalli,
la cui velocità era impressionante
e rendeva pericolosissima la cavalcata:
un percorso già accidentato da se è pericoloso.
I fantini erano eroi dall'audacia folle,
e pazzi da legare nel fendere la folla schierata
ai bordi delle strade strette e piene di curve,
con salite e discese ripide buone per paracadutarsi.
Chi vinceva azzardava, attentando alla sua vita
e chi partecipava, sapeva di rischiare
l'osso del collo veramente e non erano i soli a rischio
anche gli spettatori rischiavano di essere travolti
in quanto si esponevano in modo maldestro
nel tifare per il loro favorito al suo passaggio.
In coda, i somari, invano tentavano
di evitare ai loro fantini l'ultimo posto,
che era appannaggio dello sfortunato di turno,
al quale non venivano risparmiati sfottò,
sberleffi beffardi colorati e comici
seguite da grandi e diverte risate del pubblico
Durante il percorso, oltre a salcicce e formaggi
si offriva del vino e bicchierini di liquore ai fantini
e quelli degli asini, abboccavano più alcol
dato dalle bevute in maggior numero,
grazie alla scarsa velocità dei loro quadrupedi,
giungendo al traguardo già sobri è un pò brilli.
Questa era la corsa dei cavalli a Sant'Antonio,
poi, fino a sera, suoni di flauti, cupa cupa e organetti,
alimentavano gioia, canti e balli tradizionali del paese.
Quindi la folla briosa e lieta, si recava in massa
tra la torre di avvistamento e la chiesa madre,
dove ogni famiglia aveva portato ramaglie,
fascine di legna, pezzi di tronchi da ardere nel falò.
Un addetto, con esperienza focaia,
dava fuoco alla massa di fascine,
la prima fiamella faceva capolino nelle ramaglie
provocando il tipico scoppettio e si ingigandiva.
La gente attenta, ma con fiato sospeso,
cautamente indietreggiava con brividi gioiosi.
Poi esplodevano le fiamme del falò,
rapide vampe salivano al cielo con caldo bagliore
seguito dagli scoppettii e dalle miriadi di scintille.
La folla applaudiva, gustava il tepore, sorrideva.
il fuoco durava tutta la notte, allegramente
la gente attendeva che tutto il falò,
divenisse brace ardente e come per incanto
ognuno tirava fuori una paletta e un "cozzo"
veniva riempita di brace ardente e ciascuno,
come da tradizione, portava questa brace a casa
credendo che la brace, desse protezione
e benedizione alla proprie dimore e alla famiglia.
Finiva così, un giorno molto atteso, pieno e felice,
per questo mio natio borgo lucano, attraversato
da immacolato senso rurale puro, vero e sano.
Ora soltanto un ricordo
che un uomo da lontano riporta
in memoria per le generazioni future.